Conosco bene Calderoli e pur dissentendo in politica praticamente su tutto, siamo – se non amici -reciprocamente simpatici. E’ uno che ama gli scherzi e l’iperbole, roboante sul pratone ingiallito di Pontida, dannunziano fuori tempo massimo a Roma.
Chi lo conosce ha dunque una certa dimestichezza a non prenderlo sul serio, a non cascarci quando tende tranelli. Oggi Calderoli (e qualche epigono sardo che senza tema del ridicolo vede il golpe) afferma che le cinque Regioni Speciali non potranno essere rappresentate nel futuro Senato, composto prevalentemente da consiglieri regionali, perché i loro Statuti prevedono che un consigliere regionale non possa essere membro di Camera e Senato. Anche la Costituzione prevede questa incompatibilità per i consiglieri delle Regioni ordinarie (art. 122) ma con la riforma essa rimarrà solo per la Camera dei Deputati.
In realtà non vi è nessun dubbio sul fatto che il Parlamento, approvando la riforma, abbia voluto proprio un Senato nuovo, completamente diverso da quello attuale, e lo abbia scritto a chiare lettere negli articoli 56 e 57. A differenza del passato, il Senato rappresenterà le istituzioni territoriali. Saranno “i Consigli regionali e i consigli delle Province autonome di Trento e Bolzano” ad eleggere “i senatori tra ipropri membri”. La formula usata è quella che mette insieme, nella tecnica legislativa, tutte le Regioni, sia quelle ordinarie, sia quelle autonome. Questa parte della riforma, fuori dal Titolo V, si applica pacificamente a tutte le Regioni.
Non deve ingannare il fatto cheil Senato riformato abbia mantenuto lo stesso nome. E’ un organo legislativo diverso dal Senato a cui fanno riferimento gli statuti delle regioni autonome. Diversa la funzione. Diversa la competenza legislativa. Diversa la composizione. I suoi membri non rappresenteranno più la Nazione. Non potrà esser sciolto dal Presidente della Repubblica. Si rinnoverà non più in toto ma parzialmente, via via che si rinnoveranno i consigli regionali.
L’elettorato passivo (cioè le condizioni per essere eletti) non sarà più di tutti gli ultraquarantenni, ma solo dei consiglieri regionali e dei sindaci. E non sono gli ultraventicinquenni ad eleggere i senatori, ma i Consigli Regionali sulla base di una precedente indicazione dei cittadini.
Si tratta dunque di un’altro organo legislativo, governato dalla nuova norma costituzionale che ne determina la composizione attingendo al corpus dei consiglieri regionali e dei sindaci di ogni regione. Per il nuovo Senato, a mio avviso, non vale il divieto di doppio mandato previsto dall’articolo 17 dello Statuto, che invece fa riferimento a “una delle Camere” così come le conosciamo adesso, in regime di bicameralismo paritario. Il divieto attuale varrà – se la riforma sarà approvata – ancora per tutta la legislatura repubblicana in corso. Se un senatore si dimette, decade per qualsiasi motivo o muore, se chi gli subentra fosse per caso consigliere regionale, dovrebbe risolvere la sua incompatibilità optando per una delle sue cariche.
Ma per il nuovo Senato la disposizione non varrà, perché quest’organo non è contemplato dallo Statuto. Poi è giusto coordinare testualmente lo Statuto con la Costituzione, e “ripulire”l’articolo 17, ma anche se il testo rimanesse quello, non avrebbe più oggetto, perderebbe forza cogente, non sarebbe più applicabile ad una Camera che non c’è più.
Confondere il nuovo Senato con quello di oggi, per il quale giustamente vale il divieto di doppio mandato, sarebbe, per dirla con il brocardo latino dei giuristi, un aliud pro alio. Tradurrei “aglio per cipolla” a vantaggio dell’amico leghista, ma in sardo suonerebbe ancora meglio.
Francesco Sanna