Comandini: sovraffollamento carceri, la Sardegna non può farsi carico, da sola, di problemi ed emergenze nazionali.

Malgrado il richiamo della Corte Europea dei Diritti dell’uomo che, in seguito alla sentenza Torreggiani,  ha condannato lo Stato Italiano per trattamento inumano derivanti dall’accertata condizione di sovraffollamento delle carceri, e malgrado il lavoro svolto dal Governo e dal Parlamento Italiano con l’approvazione della legge “svuota carcere”, in Sardegna, per superare questo penoso problema rimane ancora tanto da fare, lo dichiara l’esponente del PD in Consiglio Regionale Piero Comandini, che ha illustrato la mozione sul sovraffollamento delle carceri, approvata all’unanimità, di cui è promotore.

Nelle carceri isolane le criticità sul sovraffollamento sono ancora alte, aggravate da ulteriori difficoltà legate alla totale mancanza di progetti volti al  recupero dei detenuti, alla carenza di figure professionali idonee al recupero dei detenuti (educatori, psicologi e assistenti sociali) otre ad una cronica carenza di Agenti di Polizia Penitenziaria.

I numeri parlano chiaro, prosegue Comandini, le carceri in Sardegna restano affollate, un anno fa i detenuti erano circa 1877 oggi se ne contano 1950, di questi solo il 35% inseriti in un progetto occupazionale alle dipendenze del DAP, eppure i dati statistici asseriscono che chi sconta la pena in carcere ha un tatto di recidiva del 68.4% contro il 19% di chi usufruisce di misure alternative e addirittura dell’1% di chi è inserito nel circuito produttivo.

La Sardegna presenta una situazione carceraria preoccupante, non solo per i numeri ma anche e soprattutto per la tipologia di reclusi, nelle due case circondariali di Sassari – Bancali e Cagliari – Uta, saranno trasferiti poco meno di un terzo dei ristretti considerati tra i più pericolosi in Italia. Comandini esprime forte preoccupazione in quanto il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha comunicato, alla Commissione Parlamentare antimafia, la volontà di trasferire nelle due carceri isolane circa 200 detenuti sottoposti al regime del 41 bis, ovvero soggetti esponenti di criminalità camorristica e mafiosa internazionale.

Il trasferimento nelle strutture carcerarie della Sardegna di un numero così elevato di detenuti pericolosi, sottoposti al regime del carcere “duro” comporta forti rischi di infiltrazione del sistema mafia nel territorio della Sardegna, indenne dal fenomeno, ma non per questo inviolabile, inoltre risulta alquanto pericoloso per l’ambiente sociale e la sicurezza dei due istituti di pena inaugurati da poco e ancora in fase di rodaggio, col rischio di limitare le iniziative finalizzate al recupero sociale e rieducativo dei reclusi.

Da non trascurare la necessaria presenza degli agenti del Gruppo Operativo Mobile, reparto della Polizia Penitenziaria, preposto alla custodia della detenzione speciale, che potrebbe trasformare profondamente la realtà delle carceri di Uta e Sassari, dove l’umanità degli assistenti penitenziari è un tratto caratteristico.

Particolare attenzione merita la situazione che riguarda gli agenti di polizia penitenziaria che operano, spesso in condizioni pericolose e stressanti, all’interno degli istituti penitenziari il cui numero è fortemente insufficiente a garantire turni, scorte e piantomenti. Attualmente in organico sono presenti circa 1800 agenti di polizia penitenziaria, pianta organica sottodimensionata di oltre 400 unità.

In conclusione, Comandini asserisce, con fermezza e decisione, che affinchè tutto possa funzionare al meglio è necessario che la Sardegna sia protagonista nel processo di riordino giudiziario, che tenga conto della specificità di alcuni istituti penitenziari presenti nell’isola, preveda un potenziamento della pianta organica della Polizia Penitenziaria, fortemente sotto dimensionata, e si metta in atto un programma di interventi, in grado di creare condizioni di vivibilità, di ripristinare i servizi e le dotazioni dei beni di prima necessità, nonché di risolvere, nel pieno rispetto dei principi costituzionali e in via definitiva, il problema del sovraffollamento carcerario, che veda coinvolte le istituzioni locali in sinergia con tutti gli Enti interessati, gli operatori culturali e le associazioni di volontariato  affinchè si elaborino progetti, in grado di sviluppare misure alternative alla pena, con attività di rieducazione, istruzione, riabilitazione professionale, tutti obiettivi finalizzati al riscatto sociale e all’emancipazione culturale, dove il lavoro e/o la possibilità di studiare in carcere sono l’antidoto alla recidiva, affinchè il carcere sia sempre più un luogo di recupero della dignità umana, e offra un percorso  riabilitante e non solo punitivo, fine a se stesso, come recita all’art. 27 comma 3, la nostra Costituzione Italiana.

 

 

Ultime news

Torna in alto