Anche nel sistema elettrico riappare una costante: quella di una Sardegna le cui risorse (boschi, miniere, turismo) vengono sfruttate dall’esterno con benefici limitati per l’economia sarda. Il sistema elettrico regionale, ovvero il modo in cui in Sardegna produciamo e consumiamo energia elettrica, non fa eccezione. Di fatto siamo una piattaforma energetica funzionale ai bisogni del resto d’Italia. E anche le rinnovabili si confermano per quello che sono: un business per pochi, che estrae sole e vento dalla nostra regione con scarsissimi collegamenti e con ridottissimi benefici per la Sardegna. Negli ultimi 25 anni è andata sempre peggio. Ho raccontato queste anomalie attraverso 5 paradossi che spero aiutino una riflessione comune delle istituzioni, del sistema economico e sociale, dell’opionione pubblica.
Chicco Porcu
CONSUMI ELETTRICI SEMPRE PIÙ DISTRIBUITI, PRODUZIONI SEMPRE PIÙ CENTRALIZZATE (E INEFFICIENTI)
La struttura dei consumi è profondamente cambiata dal 1990. Dal 1990 i consumi del settore domestico e terziario sono raddoppiati quelli del settore industriali sono diminuiti del 50%. Il sistema di produzione è, però, sempre più centralizzato. Il Parco termoelettrico è concentrato su 3 grandi centrali, il parco di eolico e fotovoltaico è arrivato a 1700 MW (produzione totale 2,4 TWh non include la quota di rinnovabili da produzione idroelettrica e da biomasse), ma è gestito con logiche centralizzate. Il valore di autoproduzione elettrica rispetto ai consumi industriali nel 1997 era pari al 30%, nel 2013 il valore è sceso al 10%. Questo comporta che l’energia elettrica prodotta deve essere trasmessa (in alta tensione) e distribuita (in bassa e media) con perdite nella rete che possono raggiungere il 20%. I costi di funzionamento del sistema energetico elettrico sardo che sono oggi pari a 1765 GWh, il 20% dei consumi. La lunghezza della rete di distribuzione in Media Tensione è aumentata nel periodo 2006-2013 dl 4% a fronte di una potenza distribuita cresciuta di circa 500 MW.
CONSUMI IN CALO, CO2 IN CRESCITA
I consumi finali di Energia Elettrica, nel 2013, sono tornati al livello del 1990, in calo del 40% dal picco del 2006. Oggi consumi regionali sono pari a circa 9 TWh per anno. La produzione è rimasta invariata dal 2008 ed è pari a circa 14 TWh per anno. Il calo dei consumi regionali è compensato con l’export di circa 4 TWh di energia elettrica. Nonostante l’avvento delle rinnovabili oggi le emissioni di CO2 sono cresciute del 7% rispetto al 1990. Questo è dovuto al parco di produzione termoelettrica vetusto e all’utilizzo del carbone come fonte primaria, ma soprattutto al fatto che la Sardegna è diventata una piattaforma energetica che esporta una quantità di energia pari al 40% dei propri consumi. In sostanza “manteniamo” in Sardegna la CO2 di cui dovrebbero farsi carico altre regioni italiane per far fronte ai propri fabbisogni energetici. Il livello di emissione specifico della regione è superiore di circa 80% rispetto al livello nazionale (700gCO2/kWh contro un valore medio nazionale di 400gCO2/kWh). Questo rappresenta un elemento di criticità nella prospettiva del mercato della emission trading, entrato a regime dal 2013 e che porterà causa una perdita di competitività nel prossimo futuro (più CO2 emetti più devi spendere).
L’ELETTRODOTTO SAPEI: PENSATO PER IMPORTARE, UTILIZZATO PER ESPORTARE
Nel 2013 abbiamo esportato 10 volte la quantità di energia che nel 1990 veniva, invece, importata.
Questo dato evidenzia una condizione di sovra capacità, ma anche una competitività di prezzo nel mercato elettrico nazionale che non si riflette, però, in alcun beneficio per la bolletta energetica delle imprese e delle famiglie sarde. Il ruolo del sistema elettrico sardo si è radicalmente trasformato rispetto a quello nazionale. Prima il sistema energetico nazionale doveva essere di sostegno a quello sardo (anche per abbattere i costi). Oggi avviene il contrario. I 1000 MW del Sapei risultano, peraltro, ormai saturi e non in grado di garantire una flessibilità gestionale al sistema energetico sardo che in tale condizione risulta nuovamente fortemente vincolato.
LE FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI: UN BUSINESS PER POCHI, SENZA ALCUN BENEFICIO PER LA SARDEGNA
Le FER coprono ormai il 37% dei consumi elettrici, ma sono gestite con logiche centralizzate senza alimentare un significativo autoconsumo locale. La stragrande maggioranza degli impianti sono totalmente slegati dal sistema produttivo o dal fabbisogno elettrico regionale. Per fare solo un esempio relativo al fotovoltaico: l’1% degli impianti realizzati detiene il 70% della potenza fotovoltaico. Pochi di questi sono in mano ad imprenditori sardi. La produzione di energia da FER alimenta soprattutto l’esportazione senza portare alla Sardegna alcun beneficio economico o ambientale di minor produzione di CO2. Rimangono operativi, infatti, tutti i grandi “vetusti” impianti termoelettrici. L’energia prodotta dalle FER viene, per la quasi totalità, esportata fuori dalla Sardegna senza “scacciare” alcuna produzione elettrica generante CO2.
COSTI DI PRODUZIONE REGIONALI BASSI, PREZZI DI ACQUISTO ALTI.
In Sardegna il costo di produzione dell’energia è mediamente più basso che nel resto d’Italia. Ma il prezzo è fissato su base nazionale (sui costi medi di produzione) per cui la Sardegna non ne ha alcun beneficio, ma solo gli aspetti negativi di tipo ambientale e di maggiore produzione di CO2. Tale condizione è la sintesi di una condizione di sovra capacità e di una produzione (FER + Carbone) caratterizzata da costi inferiori alla media nazionale che determina la realizzazione di offerte zonali inferiori alla media nazionale allo scopo di garantire nel meccanismo di market splitting la vendita di energia verso il mercato del Centro Sud e Nord Italiano. Pertanto, le offerte regionali sono competitive con il mercato nazionale e contribuiscono alla riduzione dei costi medi nazionali.