II progetto di Riforma della parte II della Costituzione

L’intervento in Aula di Francesco Sanna nella discussione generale, Camera dei deputati 17 dicembre 2014

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Sanna. Ne ha facoltà.

  FRANCESCO SANNA. Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, credo che questi ultimi scampoli della nostra discussione sulle linee generali servano, più che per esporre in maniera sistematica quello che è venuto fuori dal lavoro del Senato prima e della Commissione affari costituzionali della Camera dopo, un’interlocuzione vera tra di noi, secondo uno spirito costituente, secondo uno spirito parlamentare, cioè semplicemente secondo uno spirito di chi dice, di chi ascolta e di chi interagisce con gli argomenti. Sarebbe infatti abbastanza triste, come in parte questo dibattito ha dimostrato, che noi fossimo semplicemente capaci di una riaffermazione stanca e, in quanto stanca, sempre più gridata dei nostri teoremi, delle nostre ideologie.

Voglio dire, anche se non è più presente in Aula nessuno del MoVimento 5 Stelle – e questo è un po’ la simbologia della loro partecipazione alla fase di revisione costituzionale –, che sarebbe stato certamente molto meglio, per un’accuratezza dei nostri lavori, per una migliore loro pubblicità, per una loro capacità di essere discussi anche nell’opinione pubblica, nelle università, nelle amministrazioni locali, nei luoghi dove si realizza la democrazia, nella rete, la possibilità di fare quello che il disegno di revisione provvisoria dell’articolo 138 aveva suggerito di fare.

Eravamo arrivati sino all’ultimo miglio e cioè una bicamerale che, insieme ai colleghi del Senato e similmente a quanto fece la Commissione dei settantacinque nella Costituente, redigesse un primo testo poi da consegnare alla discussione di entrambi i rami del Parlamento, ma con una concentrazione di riflessione e con una capacità di rendere evidenti i grumi problematici dalle cose che dovevamo cambiare e che dobbiamo cambiare che, devo dire, la navette a cui stiamo sottoponendo questo testo con il Senato e la impossibilità per noi della Camera di essere lì a Palazzo Madama e per loro oggi di essere qui, ci ha sostanzialmente impedito e che rende molto più faticoso questo nostro lavoro.

Lì c’era anche la possibilità, da una parte, senza bisogno di ricorrere allo stratagemma di far mancare un voto ai due terzi, di procedere al referendum popolare confermativo per far diventare efficace la riforma costituzionale, lo si prevedeva direttamente nella modifica dell’articolo 138 provvisorio; e c’era una cosa importantissima e cioè l’eliminazione, non tutta ma tendenzialmente quasi tutta, dell’effetto del premio di maggioranza nella composizione di quella Commissione.

Chi in questa Aula ha parlato della mancanza dello spirito costituente e chi fuori da questa Aula ha scritto appelli contro l’autoritarismo strisciante e sulla impossibilità per questo Parlamento di ricorrere ad una fase di revisione costituzionale profonda, anche se non tocca i principi fondamentali della nostra Carta, deve riconoscere che quello è stato un tentativo positivo per eliminare gli effetti del maggioritario nella fase di revisione della Costituzione, di rendere più razionale il nostro lavoro. E se quello non si è potuto fare lo si deve a chi si è sottratto al dibattito e al voto finale, come ha fatto il MoVimento 5 Stelle e alla deriva, direi un po’ irrazionale, non nel dibattito ma al voto finale, di Forza Italia. Le politiche costituzionali anche su singoli punti manifestate nel dibattito e nel voto anche in questa Camera io sinceramente non sono riuscito proprio a capirle.

È, comunque, una costante che, quando si discute di Costituzione, ci sia sempre qualcuno che dica che bisogna fare di più, ed è giusto, che bisogna fare meglio, ed è giusto, e che chi se ne occupa è sempre malfermo, è sempre incapace, è sempre alla fine non perfettamente affidabile rispetto alla materia che gli è assegnata.

Nel marzo del 1947 un signore anziano ma molto importante nella cultura italiana, Benedetto Croce – perché le Costituzioni le hanno scritte le classi dirigenti giovani dell’Italia del dopoguerra ma alcuni sigilli li hanno messi anche i grandi vecchi della cultura italiana – si riferiva al lavoro fatto dalla Commissione dei settantacinque presieduta da Terracini e dove c’erano Moro, Dossetti, La Pira, Togliatti, il meglio della cultura politica dell’Italia uscita dalla Resistenza. E per Benedetto Croce la redazione di quel progetto di Costituzione non era felicemente riuscita proprio per essere stata, diceva così, «scritta da più persone in concorso» e, inoltre, egli accusava la «partitomania», la causa ben trasparente dei negoziati accaduti tra i rappresentanti dei partiti che hanno messo capo a un reciproco concedere ed ottenere, appagando alla meglio o alla peggio le richieste di ciascuno.

Io dico che se Benedetto Croce, rispetto a quel tipo di lavoro che noi oggi consideriamo alla base di quella che per molti di noi è una grande Costituzione, un grande esempio del costituzionalismo occidentale, lo degradava sostanzialmente ad un, non voglio dire mercimonio, ma sicuramente ad un effetto mediocre di un negoziato tra i partiti di allora, io credo che la costante che oggi ci vede, si licet parva ovviamente, essere accomunati a quelli che hanno alla fine prodotto un risultato non all’altezza delle richieste del nostro sistema politico, della modernizzazione del nostro sistema politico, forse vada considerata con una qualche indulgenza da parte di chi, invece, si è voluto cimentare in questo lavoro e che ha prodotto un lavoro, direi, positivo nell’ottica invece di quel compromesso costituzionale che già alla Costituente abbiamo sperimentato.

Infatti, non basta dire che un punto dell’elaborazione costituzionale va male, che quell’istituto può essere criticamente migliorato, può essere reso meglio rispetto a un’idea di democrazia e a un’idea di funzionamento delle istituzioni della democrazia. Bisogna, poi, essere capaci di una sintesi finale nel voto. Una sintesi finale nel voto vuole dire che noi, forze politiche qui dentro, possiamo e dobbiamo fare accordi, nel senso del compromesso costituzionale con le forze politiche che alla fine votano a favore e rendono possibile l’approvazione della revisione costituzionale.

È per questo motivo che, fermandomi ad alcuni brevissimi accenni su punti ancora poco condivisi dalla totalità di chi ha avuto modo di cimentarsi con l’elaborazione della revisione costituzionale, e alcuni di questi punti, come ricordava prima il collega, sono oggetto di una discussione anche interna al Partito Democratico, nell’assenza di idee di altri, così come diceva un grande della nostra democrazia, Aldo Moro, rispetto al suo partito, abbiamo dovuto essere, a volte, alternativi a noi stessi. Abbiamo dovuto fare il ruolo della maggioranza e il ruolo di un’opposizione su questi temi costituzionali, ed è stato un ruolo positivo e utile per tutti.

Però, lo voglio dire ai colleghi, come Gianni Cuperlo, che, per esempio, hanno messo in discussione e in contrapposizione l’autorevolezza del nuovo Senato, in quanto eletto indirettamente, che non possiamo sostenere che questa sia una causa di mancanza di autorevolezza se poi tutti noi insieme eravamo, come opzione principale, quelli che volevano il Senato delle regioni sul modello del Bundesrat tedesco, perché il Senato delle regioni, secondo il modello del Bundesrat italiano, è un Senato non eletto da nessuno, ma nominato dai venti presidenti delle regioni italiane. Essi sì sono eletti, ma le loro giunte sono tutte nominate, secondo uno schema puro di sistema presidenziale che forse in altri pezzi d’Europa non esiste.

Quindi, noi volevamo quel tipo di Senato delle regioni, ma dobbiamo essere consapevoli che quel Senato, autorevolissimo in Germania, qui rischiava di essere monocolore, monocolore del Partito Democratico; e per questo non ricevere il consenso di tutte le forze di opposizione che qui volevano e hanno imposto un Senato con una colorazione politica differente, tramite un’elezione di secondo grado con la rappresentanza delle minoranze dei consigli regionali e con una rappresentanza delle autonomie locali; perché in questo nostro Paese, dove le regioni le abbiamo inventate 60 anni fa ma i comuni li ha inventati Dio, purtroppo per alcuni che volevano semplicemente dire che i sindaci non ci facevano nulla, gli 8 mila sindaci italiani, le municipalità e le storie delle nostre comunità pesano nelle nostre istituzioni, e meno male che pesano ! Evitare, quindi, queste contrapposizioni, diciamo con argomenti differenti.

In ordine alla valutazione preventiva della Corte costituzionale sulla legge elettorale sono molto d’accordo quando noi lo inseriamo in Costituzione come sistema eccezionale che addirittura blocca la promulgazione della legge, cioè come diritto di una minoranza di dire che in quella legge elettorale c’è un baco di illegittimità costituzionale. È onere della minoranza di dire, persuasivamente, che c’è un motivo di illegittimità, non dire genericamente che quella legge non mi piace, come il presepe di Eduardo De Filippo nel ” Natale in casa Cupiello”.

Non è possibile ridurre la Corte costituzionale a camera suprema dell’indirizzo politico, perché così avverrebbe se vi fosse, questa è la mia opinione, una valutazione automatica e senza motivi di contestazione della legge elettorale. Cosa imporrebbe alla Corte costituzionale di forgiarsi un suo modello ideale e astratto, però, di optimum dei sistemi elettorali e imporlo, con il crisma del criterio di legittimità costituzionale, ad un Parlamento che, invece, lo ha elaborato in maniera differente ?

Molto meglio quello che abbiamo scritto concordemente nella modifica della Costituzione e molto meglio, a mio avviso, lasciare così le cose per la nuova legge elettorale, perché quella nuova legge elettorale, che arriverà prima della riforma della Costituzione, sarà una legge elettorale promulgata, efficace, ma che ciascun cittadino – ne basta uno, secondo quello che ci ha spiegato la Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014, che vada davanti a un giudice e gli chieda se il suo diritto di cittadino italiano è potenzialmente leso, non concretamente leso, non serve che arriviamo alle elezioni, ma potenzialmente leso da quelle disposizioni elettorali – potrà mandare davanti alla Corte, che a quel punto la giudicherebbe così come ha giudicato la precedente legge elettorale.

Questi sono tutti punti, colleghi, che avremo modo di vedere quando discuteremo le proposte emendative insieme a tanti altri. Io credo che dal lavoro che abbiamo fatto venga fuori una democrazia più matura, una democrazia più forte, una democrazia non governata, come diceva Leopoldo Elia, ma governante: non governata perché non c’è un potere esorbitante dell’Esecutivo, ma c’è un equilibrio tra i poteri; democrazia governante perché noi usciamo dall’ideologia e dalla prudenza dei nostri costituenti, dei nostri padri di settant’anni fa, quando fecero una forma di Governo eccessivamente mirata a contrastare le possibilità di governo di chi vinceva e uno non si fidava degli altri sotto il profilo democratico e, quindi, lo doveva indebolire.
  
Oggi i tempi sono cambiati, oggi siamo in un contesto di democrazia matura e ci possiamo permettere più Governo e ci possiamo permettere più Parlamento, però tra noi parlamentari dobbiamo fidarci di più di noi stessi, non siamo poveri burattini nelle mani di quattro capi partito e, quando ragioniamo del Parlamento e del Governo, ragioniamo di poteri in dialogo, ma anche in possibile contrasto tra loro, e vince il Parlamento.

Concludo ritornando a quel Benedetto Croce che, quando doveva criticare il risultato della rielaborazione costituzionale di quei mesi importanti per la storia futura della nostra politica, lo contestava – direi – con la cultura e con la testa rivolta al passato, e però concludeva il suo intervento chiedendo, in alternativa a quel metodo e a quelle sintesi provvisoriamente raggiunte, lui laico, addirittura la discesa dello spirito santo su chi tocca queste materie. Veni, Creator Spiritus, mentes tuorum visita, diceva Benedetto Croce.

Io credo che non bisogna rivolgersi alla capacità di Dio di infondere nelle nostre menti l’illuminazione politica e basta. Dobbiamo far riferimento alla nostra cultura, alla nostra capacità, alla nostra storia, quella che io credo che nelle prossime settimane questo Parlamento, questo Paese, questi parlamentari, che hanno preso in mano questa delicatissima materia, riusciranno ancora una volta a dimostrare di essere all’altezza di poter fare.

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