Discussione sull’art.1 del dl di Riforma costituzionale A.c. 2613-A ( la Costituzione e i conflitti di interesse)
FRANCESCO SANNA. Grazie, Presidente. Nel dibattito che abbiamo avviato e anche concluso nell’ambito della discussione sulle linee generali sulle diverse proposte di legge sul conflitto di interessi, vorrei ricordare a tutti i colleghi che ce ne sono due del Partito Democratico, abbiamo precisato e non sarebbe altrimenti possibile- se non vi fosse già sufficiente copertura costituzionale – che il luogo della disciplina di una regola del rapporto tra le attività economiche e la possibilità di fare il rappresentante politico nelle istituzioni è la legge ordinaria, e non la Costituzione.
Questo ce lo hanno detto anche i costituzionalisti che sono venuti in audizione nella Commissione affari costituzionali ed è una posizione assolutamente minoritaria quella che ritiene che noi dobbiamo mettere il tema del conflitto di interessi in Costituzione. Perché nella Costituzione c’è già questo tema quando, per esempio, si tratta di chi deve prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica; c’è quando costui deve adempiere al proprio esercizio di mandato essendo fedele alla Costituzione, ma soprattutto essendo fedele alla Costituzione quando ci richiama a svolgere il nostro mandato politico con dignità e onore; c’è quando la nostra Costituzione dice che la pubblica amministrazione – e, latamente, tutti i poteri dello Stato e della Repubblica – devono potersi esercitare con la trasparenza, l’efficienza e l’efficacia dello Stato quale principio generale del suo comportamento; c’è quando la libertà di impresa è garantita, da una parte, ma è garantita anche la sua utilità sociale come limite di esercizio della libertà di impresa; e c’è quando il diritto di elettorato è un diritto fondamentale del cittadino.
Fondere insieme le tutele di tutti questi interessi costituzionalmente previsti è compito della legge, importantissima, che noi ci apprestiamo, dopo questa tornata, a riprendere a discutere e ad approvare. Ma essa è una legge ordinaria.
Del resto, se voi leggete la proposta emendativa di SEL in essa non vi è scritto che sono incandidabili coloro che detengono il controllo di imprese, ma c’è scritto che: la legge dispone le incandidabilità di coloro che hanno un certo tipo di potere su imprese che hanno rapporti con la pubblica amministrazione. Quindi, implicitamente viene riconosciuto quello che io sto dicendo.
Allora, per sgombrare ogni equivoco dalla nostra discussione, noi siamo per riprendere la discussione e l’approvazione di una legge sul conflitto di interessi, come abbiamo detto, immediatamente dopo la tornata che chiuderà la fase di approvazione delle riforme costituzionali e della legge elettorale nel nostro Paese. Lo riteniamo un capitolo fondamentale, non un tema di oggi, ma un tema che persiste da vent’anni.
È cambiato il mondo, è cambiata in questi tempi la penetrazione della società civile e, quindi, anche della società economica dentro la rappresentanza politica. Vent’anni, trent’anni fa non era così. La politica era dominio delle classi dirigenti forgiate dentro il partito.
Voi avete parlato per un’ora, prima, dicendo che bisognava fare la rotazione rapida e sistematica delle rappresentanze istituzionali anche in questo Parlamento. Potete avere ragione o potete avere torto, ma sicuramente questa rotazione, questo ingresso fortissimo della società civile e della società economica nelle istituzioni, c’è già stata e c’è già stata in maniera potente vent’anni fa con la creazione del partito di Forza Italia e la Presidenza del Consiglio di Silvio Berlusconi.
Quindi, questo non ce lo dimentichiamo e vogliamo porre rimedio, dopo tanto tempo, ad un capitolo mancante dello statuto della democrazia nel nostro Paese. Non è questo il momento, non è questa la sede, la revisione costituzionale, perché già la nostra Costituzione ci rende responsabili di questa legge, che noi dobbiamo discutere,concludere e approvare nei suoi contenuti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
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Discussione sull’art.2 del dl di Riforma costituzionale A.c. 2613-A ( composizione del nuovo Senato, rappresentanze Regionali e dei Comuni)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Francesco Sanna. Ne ha facoltà.
FRANCESCO SANNA. Grazie Presidente. Colleghi, rappresentanti del Governo, mi sembra che sia questo un dibattito, sull’articolo 2, molto dentro il Partito Democratico. Questo per noi non è un problema, ma credo la rivelazione di che cosa voglia dire essere un partito grande, grande nel pluralismo delle opinioni, grande nella rappresentanza dei territori e grande anche, se consentite, nelle esperienze e nelle storie che fanno di ciascuno di noi parlamentari, deputati in questa Camera e colleghi del Senato della Repubblica, dei portatori di una cultura, cultura dello Stato e cultura di Governo, e di una visione storica.
Per questo motivo – consentite l’interlocuzione anche tra noi – parliamo tutti qui dentro a nome del Partito Democratico. Non c’è uno, più degli altri, che abbia l’esclusiva di un’idea ma, al tempo stesso, siamo capaci poi di una decisione finale, di un orientamento prevalente e, a volte, di una presa d’atto o di una necessità di presa d’atto di quello che è il sistema politico, la rappresentanza politica e la composizione del Parlamento. Insomma, è un’adesione vera al principio di realtà che ci porta a dire che, per fare le riforme, bisogna che vi siano gruppi parlamentari che poi esprimano un voto finale a favore di quelle riforme. Ebbene, il Partito Democratico è impegnato in questa responsabilità.
Il Governo aveva presentato sulla sua proposta una formazione, una composizione del Senato completamente diversa, che è riecheggiata nelle parole di molti colleghi, i quali hanno annunciato un dissenso rispetto all’impostazione che è emersa, sia dal voto del Senato sia dal lavoro della Commissione.
Il Governo aveva presentato un Senato composto certamente da una rappresentanza uguale, in Senato, a prescindere dalla composizione demografica delle regioni. Quindi, una regione piccola esprimeva sempre due senatori, come anche esprimeva due senatori una regione grande, con l’aggiunta poi della rappresentanza di diritto dei presidenti delle regioni. E questo è quello che abbiamo sentito riecheggiare, come un desiderio di ritorno a quel tipo di impostazione.
Ma abbiamo anche visto che c’è un equilibrio politico oggi nel Parlamento – perché il Parlamento è fatto da entrambe le Camere – che ha rifiutato questo tipo di approccio. Lo ho rifiutato esplicitamente, così come ha rifiutato esplicitamente un sistema che ci avrebbe portati più vicino all’esperienza dell’unica grande democrazia presidenzialista che ha questo compito in capo al suo Senato, ovvero un sistema di Senato delle garanzie, che è funzione tipica solo del Senato degli Stati Uniti.
Noi ci ispiriamo a un’esperienza di tipo continentale nel testo che abbiamo davanti, simile, come è stato detto, al Senato francese, eletto a suffragio indiretto. Come il Bundesrat, anche il nostro Senato sarà eletto a suffragio indiretto, come avviene pure in Austria. In Spagna l’elezione è parzialmente indiretta. Questo tema dell’elezione indiretta mi sembra definitivamente superato nel nostro dibattito.
Devo anche dire che il fatto che noi abbiamo il bicameralismo paritario nel nostro Paese deriva da un preciso momento storico di cristallizzazione delle culture politiche e istituzionali in un compromesso costituzionale che noi dovremmo essere capaci di recuperare.
Quando nell’Assemblea Costituente la posizione monocameralista del Partito Comunista e dei Socialisti fu sconfitta, nella logica del compromesso costituzionale e dell’accordo che doveva portare le grandi forze di massa a condividere lo stesso patto, l’idea di un’unica sede, di un’unica sovranità popolare degli elettori mutò e si trasferì da una sola Camera al Parlamento composto da due Camere con poteri uguali. Bella soluzione, che ci ha radicato nella nostra idea di sovranità popolare unica e unitaria, ma questa soluzione ha avuto il difetto di impedire e di colpire sia la composizione differenziata del Senato sia la differenziazione delle sue funzioni.
Guardate che nella Commissione dei 75 la composizione del Senato prevedeva per un terzo la partecipazione di consiglieri regionali eletti dai consiglieri regionali stessi, come noi stiamo facendo oggi. E non tutti i cittadini potevano essere eletti negli altri due terzi di composizione del Senato, perché l’elettorato passivo veniva destinato solo ad alcune categorie di persone, non solo per età, e tra quelle categorie – titolo che dava diritto di elettorato passivo – vi era l’essere amministratore locale, come noi stiamo facendo in questa versione di composizione del Senato.
Ecco perché alla fine io credo che noi nella composizione del Senato stiamo razionalizzando quello che poi faremo, anche con il nuovo sistema delle competenze legislative delle regioni in relazione a quelle del Parlamento nazionale. Stiamo coinvolgendo le regioni e stiamo coinvolgendo le autonomie locali nel compito importante di dar forma alla legislazione statale, evitando che questa da opportunità diventi ragione di conflitto, come è avvenuto dal 2001 in poi, davanti alla Corte costituzionale, sul tema della legislazione concorrente.
E ho sentito nel dibattito – molto spesso anche a sproposito – dire: «Che ci fanno i sindaci nel nuovo Senato ?» Ci fanno quel che ci fanno anche molti colleghi che siedono qui, anche in forze di opposizione, che hanno esponenti senatori, esponenti deputati, che fanno contemporaneamente i sindaci e lo fanno anche bene, a Costituzione vigente. Fanno il loro lavoro, il nostro lavoro parlamentare con molta dignità, con indici di presenza e ruolo sostanziale analoghi rispetto a chi tra noi non è amministratore comunale.
Questa presenza non sarà un ornamento, vista nella prospettiva territoriale. Infatti, vi invito a vederla bene questa composizione del Senato. In dieci constituencies, in dieci regioni (la Valle D’Aosta, le due province autonome, il Friuli Venezia Giulia, la Liguria, l’Umbria, le Marche, l’Abruzzo, il Molise, la Basilicata) la rappresentanza del Senato sarà affidata ad un sindaco: la metà esatta della rappresentanza delle regioni sarà di un sindaco. In altre due regioni (la Sardegna e la Calabria) i sindaci saranno un terzo della rappresentanza regionale.
Concludo, colleghi. Non è una bizzarria del sistema costituzionale questa che stiamo accingendoci a discutere e a votare.È un sistema che può funzionare, può funzionare ovviamente con le forze politiche che si piegano – e si piegheranno già dalle prossime elezioni – ad offrire nei consigli regionali la classe dirigente, la classe politica idonea a svolgere insieme un ruolo importante di legislazione regionale e di legislazione statale.
In questo senso anche questa mi sembra una scelta ormai irreversibile, la scelta della rappresentanza politica dei consigli regionali. In questa rappresentanza politica c’è certamente lo spazio per le minoranze dei consigli regionali, ma c’è anche la possibilità di recupero delle esigenze che alcuni di noi hanno detto sino a qualche minuto fa. Io penso, cioè, che si creeranno convenzioni politiche, prassi politiche, specie tra le forze più grandi, per le quali alcuni presidenti di regione verranno eletti dai consigli regionali in Senato.
Ma quando questo non fosse, siccome i presidenti regionali sono espressi nelle regioni da una maggioranza che si riflette nella composizione dei consigli regionali, i senatori consiglieri regionali saranno espressione di quella maggioranza e espressione anche del dialogo e dell’intreccio politico che c’è tra gli esecutivi e i consigli regionali nell’azione politica e istituzionale delle regioni. Per questo motivo, io credo che nella logica, del patto costituzionale, del compromesso costituzionale, che parte da posizioni diverse e molto distanti, noi possiamo serenamente affrontare la discussione e il completamento con il voto della composizione del Senato.
Io credo che questi senatori in futuro, come li stiamo disegnando, saranno, non solo singolarmente boni viri, ma anche il Senato non sarà l’evocazione latina che completa il motto e, quindi, non sarà un brutto Senato, non sarà un Senato «bestia cattiva», ma sarà un pezzo buono della democrazia italiana