Il dibattito sulla Riforma della II parte della Costituzione

Discussione del DL di Riforma Costituzionale ( Aula Camera dei deputati, Roma 13 gennaio 2015, h.17:58).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Sanna. Ne ha facoltà.

FRANCESCO SANNA. Grazie Presidente, vorrei riprendere qualche argomento di merito su questo primo articolo della riforma costituzionale. Ho sentito tante espressioni, Senato «farlocco» l’ultima, tanti aggettivi che raccontano la bruttezza di questa seconda Camera che noi stiamo forgiando nella norma del nuovo articolo 55 della Costituzione. In realtà, il dibattito che c’è stato prima del nostro lavoro non è solo un dibattito avvenuto nelle Aule parlamentari, ma un dibattito lungo.

Quando all’inizio della legislatura, il 22 aprile del 2013, il Presidente della Repubblica appena eletto ci ha detto che, secondo lui ma anche secondo moltissimi di noi, la legislatura esisteva solo se si poneva in una prospettiva riformatrice e di scioglimento dei nodi, anche relativi alle regole istituzionali del nostro Paese, questo dibattito è sceso da un’astrattezza accademica ad un’attualità da cui dipende il fatto che noi oggi siamo qui; siamo qui nella XVII legislatura e non in una diciottesima, probabilmente con istituzioni ancora più devastate di quelle che in quelle ore ci apparivano.

In questo dibattito si è superata l’idea della formazione di un Senato delle garanzie che ci avrebbe fatti uscire dal sistema parlamentare per entrare piuttosto in una dimensione più tipica dei regimi presidenziali, anzi praticamente una dimensione caratteristica solo del Senato americano, nato in una logica di governo a istituzioni separate. Chi ha studiato questo modello, come Fabbrini, sostiene che esso è pensato «non per prendere decisioni buone ma per evitare decisioni cattive».

Ci siamo voluti invece confermare nella logica e nella tradizione del Governo a base parlamentare, del sistema parlamentare. Se dovessi definirlo con una formula sintetica, per i tempi ridotti che abbiamo nella discussione di un emendamento, direi che il modello che noi proponiamo e nella cui coerenza crediamo, è il tentativo di disinflazionare il contenzioso fra Stato e regioni che abbiamo visto in questi anni, dopo il 2001, davanti alla Corte costituzionale, cercando di portare la collaborazione, la dialettica fra il sistema delle autonomie e lo Stato centrale, che si esprime anche nel Parlamento, nelle Aule parlamentari, istituendo una Camera che è destinata a questo dialogo e a questa collaborazione: leale collaborazione, leale cooperazione.

Cerchiamo di spostarla in Parlamento questa leale collaborazione, portiamo le autonomie in quanto tali nel processo di formazione delle leggi, della legge statale, perché vogliamo rendere quelle autonomie, che sono la caratteristica del sistema istituzionale italiano, partecipi, da una parte, delle ragioni dell’unità dello Stato; dall’altra parte, vogliamo evitare il conflitto perenne fra le realtà istituzionali rappresentative di comunità che fanno la Repubblica; e poi vogliamo infine che le ragioni di quest’Italia differenziata, di quest’Italia che valorizza le autonomie, un’Italia diversa da area a area del Paese, trovi uno spazio nella formazione della legge statale.

Questo è un tema che mi sembra completamente trascurato nel dibattito che abbiamo fatto in queste ore precedenti; abbiamo adottato questo sistema con tutti i limiti che può avere ma anche con la grande prospettiva di una sperimentazione di questo sistema che raccoglie un’esigenza,detta sin dall’inizio, dell’esperienza regionale e almeno, dal 1993 in poi, con il nuovo rilancio dell’esperienza autonomistica, dell’Italia degli 8 mila comuni guidati dai sindaci eletti direttamente.

Questo è il sistema che proponiamo alle comunità che dovranno, nel momento in cui la nuova Costituzione entrerà in vigore, adeguarsi anche nella selezione della classe dirigente. Dunque consigli regionali che eleggano consiglieri capaci poi di fare non come si è detto «un doppio lavoro», ma un enorme e importantissimo lavoro di legislatori regionali che sanno dire la loro sulla legislazione statale, nella quale formazione vengono coinvolti.

Questo è il cuore del nuovo sistema, non le cose, se mi consentite, che avete raccontato in molti interventi. Cerchiamo di cogliere questa prospettiva di speranza e di cambiamento della democrazia italiana.

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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Sanna. Ne ha facoltà ( h.18:30, 13 gennaio 2015).

FRANCESCO SANNA. Grazie Presidente. Una volta che siamo giunti all’idea che dovevamo superare il modello del bicameralismo paritario, l’idea successiva non poteva che essere, collega Fraccaro, che da questa differenziazione seguisse anche una differenziazione del modo di elezione del Senato.

Vede, quando lei dice, anzi, quando noi diciamo – perché questo è il merito della proposta che stiamo facendo al Parlamento e che sosteniamo in Parlamento – che, come ci ha raccontato l’elaborazione di tanti regionalisti, di tanti pensatori regionalisti, di tanti che si sono impegnati nel governo delle regioni e delle autonomie locali e di tanta parte della dottrina, per fare un Senato delle autonomie – e le autonomie sono le regioni e i comuni –, se noi avessimo continuato a fare un’elezione diretta di quella Camera, le avremmo dato e le avremmo conferito lo stesso potere, la stessa competenza legislativa, che, invece, non volevamo darle, perché altro è dire che vi sono due Camere uguali, altro è dire che vi è una differenziazione nel loro ruolo.

Oggi vedo che sono in molti a evocare con grande simpatia il modello del Bundesrat. Ma guardi che il Bundesrat non è eletto direttamente. Il Bundesrat, il Senato tedesco, è eletto per modo di dire, perché lì vi sono 69 persone che partecipano come delegati dei governi delle regioni tedesche, dei länder tedeschi.

Noi stiamo dicendo che oggi il Senato italiano «modello Bundesrat» sarebbe l’assemblea nazionale degli amministratori regionali del Partito Democratico, onorevole Fraccaro. Voi 5 Stelle, cioè, non ci sareste, non ci sarebbe, probabilmente, tra un pochino, Forza Italia, questa Camera avrebbe una voce abbastanza monocorde, che forse non si adatterebbe al sistema pluralistico, politicamente, culturalmente e territorialmente pluralistico, dell’Italia.

Infatti, ci sarebbe stata la rinuncia, con quel modello, a registrare la rappresentanza del pluralismo politico. Questa rinuncia non è stata fatta nel dibattito del Senato, che ci ha consegnato invece un altro modello di nuova Camera delle autonomie.

La rinuncia consisteva nella mancata rappresentanza del pluralismo politico, – con una previsione che tutti possiamo fare – nella Camera delle autonomie, che sarebbe stata una Camera a governo totale di una forza politica e a governo totale degli esecutivi. Diciamo questo per dire che una scelta diversa avrebbe comportato anche delle conseguenze sulla partecipazione all’elezione degli organi di garanzia, perché a quel punto le regioni, espresse in quel modello di Senato, non avrebbero potuto partecipare, essendo sostanzialmente rappresentanti degli esecutivi regionali, all’elezione del Presidente della Repubblica e, comunque, fatta la scelta di differenziare profondamente la competenza legislativa, la scelta dell’elezione indiretta è un fatto quasi automatico di razionalità costituzionale.

Non per niente, quando si è passati dal chiacchierare di riforme, al dare senso a questa legislatura per le riforme, una commissione istituita dal Governo Letta, che vedeva la rappresentanza dell’Accademia italiana più prestigiosa in materia costituzionale, a quella soluzione era arrivata. Era arrivata a quelle conclusioni, dicendo cioè che il Senato doveva essere rappresentativo delle istituzioni locali, con una posizione prevalente a favore dell’elezione indiretta e con un ragionamento aperto sulla composizione, ovvero se ci dovessero essere solo consiglieri regionali o anche sindaci.

Noi abbiamo raggiunto un compromesso alto, perché la realtà delle autonomie locali, dei sindaci, e dei comuni, in Italia, è una realtà così importante da non poter essere esclusa quando prendiamo la decisione di coinvolgere le autonomie locali nel processo legislativo nazionale, cioè nella formazione della legge statale. Questo è il sistema che vi stiamo proponendo

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