Di Gianluigi Piras
Ho seguito da casa la Leopolda, una bellissima manifestazione ricca di stimoli e contenuti e figlia, come altre manifestazioni, di una voglia diffusa di partecipazione alla vita politica.
E’ lo stesso tentativo che in Sardegna, molti di noi stanno facendo, a sostegno di quel percorso partecipativo che abbiamo chiamato AgoràDem.
Peccato che qualche manciata di esagitati abbia sporcato quella manifestazione al grido di “fuori” “fuori”, dall’amaro sapore squadrista, quasi a voler rappresentare come fosse una fotocopia quel “che fai? Mi cacci?” di berlusconiana memoria.
Isoliamo questi allergici della democrazia. Un partito è un grande partito se si sforza di tenere uniti i suoli elettori quantomeno nel diritto di cittadinanza: i dirigenti del pd che sostengono le ragioni del no, hanno il merito di rappresentare i tanti nostri elettori che a differenza mia, sosterranno il no al referendum. E’ un merito e non un demerito, e questo a prescindere dalla coerenza o meno con le quali queste ragioni vengano o meno rappresentate.
Il referendum non è il giudizio universale e sono sbagliate le previsioni catastrofiche dei sostenitori dell’una o dell’altra alternativa in caso di vittoria degli avversari.
Il voto deciderà il futuro del nostro sistema politico: se mantenere l’assetto del 1948, che peraltro era stato criticato anche da autorevoli costituenti, come Dossetti (con la sua critica al sistema bicamerale) e Calamandrei, o scegliere per un certo cambiamento. La riforma mette in discussione il futuro degli assetti istituzionali: Parlamento, Governo, Regioni e di alcuni diritti di partecipazione dei cittadini in chiave moderna. Una delle grandi difficoltà delle attuali democrazie occidentali è costituita dalla difficoltà dei cittadini alla partecipazione attiva alla vita politica; ad esempio, una parte interessante della riforma è certamente il riconoscimento del diritto dei cittadini a promuovere il referendum propositivo e a vedere prese in esame entro una determinata scadenza elettorale le proposte di legge di iniziativa popolare.
E’ una di quelle novità che, insieme ad una nuova legge elettorale (positivo l’esito dell’accordo sottoscritto anche da Cuperlo sull’ipotesi di correzioni dell’italicum) aiutano a non sacrificare la rappresentanza dei cittadini, provano a riattivare quel rapporto tra cittadini e politica ed insieme alle altre modifiche degli assetti istituzionali, garantiscono una maggior stabilità ai governi.
Se ci concentrassimo solo sul merito della riforma ci troveremo dinnanzi ad un confronto ed un dibattito storico oltre che interessante. Invece la portata del dibattito è schiacciata da incredibili quanto sconcertanti cori da stadio, inquinata da insulti e molta impreparazione e disinformazione. Sbaglia chi taccia di conservatorismo i sostenitori del NO e sbaglia enormemente chi accusa di propensione alla deriva autoritaria i sostenitori del SI. Io penso che esistano ragioni di merito condivisibili sia nelle analisi (quelle pacate e di merito) sul si che sul no. Molto semplicemente si confrontano opinioni diverse sulla struttura della riforma, su alcune sue contraddizioni (che peraltro esistono) e sugli effetti positivi o meno che questa riforma porta con se in dote. Il confronto può e deve essere civile. Il Sì e il No hanno pari dignità e meritano uguale rispetto. Ma hanno effetti del tutto diversi e di questi effetti occorre discutere.
E se da una parte, ognuno di noi può rivendicare il diritto ad esprimersi liberamente in quanto cittadino chiamato ad esercitare un voto di merito sulla riforma, è anche vero che in quanto dirigenti siamo chiamati in qualche modo a sacrificare la propria libertà personale in favore di quel ruolo di rappresentanza che ognuno di noi ha il dovere di esercitare.
Ad esempio, c’è qualche riserva su parte della riforma del titolo V della Costituzione, per chi come me, ha sempre politicamente e culturalmente sostenuto un processo di riforma degli assetti istituzionali che portasse al decentramento e non ad un ulteriore accentramento delle funzioni in capo allo Stato. E’ anche vero che da dirigente sardo, che non si stancherà mai di promuovere un processo federale e autonomo del pd sardo, l’esclusione delle regioni a statuto speciale dalla riforma del titolo V, è un elemento non indifferente al fatto che alla fine, personalmente promuoverò il sostegno al SI a questa riforma.
E sarò vigile ed impegnato affinchè quell’autonomia e quella specialità non vengano intaccate.
Non ho il tempo per snocciolare tutti gli aspetti di questa riforma; mi limiterò ad argomentare il perché questa riforma non penso celi alcuna deriva autoritaria:
Ad esempio, in questa riforma, Il Capo del Governo non potrà porre la fiducia al Senato ma solo alla Camera; non potrà abusare dei decreti legge come è attualmente consuetudine. Il governo sarà inoltre sottoposto al controllo del Senato per ciò che attiene l’attuazione delle leggi, le politiche di pubblica utilità, il funzionamento delle pubbliche amministrazioni. Sono 56 gli ex presidenti della Corte costituzionale e costituzionalisti, che schierati per il No al referendum, hanno chiarito nel loro documento di non essere tra coloro che indicano questa riforma come l’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo”.
Si dice che il combinato disposto con l’Italicum dia troppi poteri al Presidente del Consiglio. Questa obiezione ha qualche fondamento, ma non si vota sull’Italicum e rinvierei ad un dibattito successivo alla pronuncia della corte costituzionale e alle eventuali soluzioni di modifica all’attuale impianto della nuova legge elettorale questo quesito.
Cosi come rinvierei ad un dibattito successivo le modalità di elezione dei nuovi senatori; ciò che certamente c’è di buono nella riforma è che il Senato non potrà tornare ad essere un doppione della Camera e perciò, come in Germania e in Francia, ha senso che non sia scelto direttamente dai cittadini, ma comunque “in conformità alle scelte espresse dagli elettori”.
A sostegno del No si dice che il bicameralismo paritario non è mai stato un fattore di instabilità. Eppure, nel 1994 il centrodestra guidato da Berlusconi vinse bene alla Camera, ma non al Senato, dove la maggioranza si costituì grazie al passaggio di alcuni senatori al centrodestra, pur essendo stati eletti altrove. Nel 1996 Prodi fu autosufficiente al Senato, ma non alla Camera. Nel 2006, sempre Prodi, vinse alla Camera ma non al Senato e nel 2013 è accaduta la stessa cosa con Bersani. Oggi il governo Renzi, si basa al Senato sui voti del gruppo dei fuoriusciti da forza italia che fanno riferimento al senatore Verdini.
Le Costituzioni non sono qualcosa di immutabile ma al contrario dovrebbero esserlo sempre, e sempre in sintonia coi cambiamenti di natura economica, politica, sociale e culturale; oggi servono quelle regole per la stabilità e la rapidità che la Costituzione non prevede perché il funzionamento delle grandi istituzioni politiche fu delegato ai partiti, senza fissare regole istituzionali. D’altra parte tutte le grandi democrazie hanno in Costituzione regole per la stabilità.
Un altro punto critico al processo della riforma è l’assunto che una riforma costituzionale debba unire e non dividere; eppure non si è mai vista una riforma costituzionale che non abbia profondamente diviso il Paese.
In un primo momento la riforma è stata votata anche da Forza Italia (che ha votato anche l’Italicum). Il M5S ha votato contro sin dall’inizio per ragioni pregiudiziali, indipendentemente dai contenuti. Poi, dopo l’elezione del Capo dello Stato, Forza Italia ha cominciato a votare contro. Se avessimo sospeso l’esame della riforma a quel punto avremmo ceduto ad un cambiamento di posizione di un partito (che sino a quel momento aveva votato a favore) per ragioni estranee al merito della riforma costituzionale. D’altra parte se la Costituzione vigente prevede all’articolo 138 che le riforme costituzionali possano essere approvate anche dalla sola maggioranza assoluta dei senatori e dei deputati, un motivo ci sarà pure.
Infine, tutte le grandi scelte hanno diviso le comunità nazionali. Il Referendum tra Monarchia e Repubblica, divise il Paese in due metà con conflitti aspri tra i sostenitori dell’una o dell’altra soluzione. Una profonda frattura avvenne in Francia nel 1969, quando ci fu il referendum sulla proposta di riforma costituzionale proposta da De Gaulle. Cosi come l’abolizione della schiavitù negli USA, fu addirittura una delle ragioni che scatenò la guerra civile americana.
Renzi ha sbagliato a personalizzare il voto quasi si votasse su di lui e non sulla riforma costituzionale. Ha sbagliato e ha riconosciuto pubblicamente l’errore.
E sbaglia, a parer mio, chi vuole affiancare questa riforma con quella che il centrodestra berlusconiano vide bocciata dal referendum del 2006. Quella riforma, infatti, era davvero una riforma autoritaria. In quel caso il Presidente del Consiglio entrava in carica senza un voto di fiducia esplicito della Camera; poteva nominare e revocare direttamente i ministri; poteva sciogliere la Camera a sua discrezione.
Ora, pur con tutte le riserve su alcune parti e su alcuni punti, perché voterei si alla Riforma?
Per due ragioni: una di merito ed una politica:
Sul merito, occorre considerare che nelle riforme costituzionali di così vasta portata molte norme sono strettamente connesse le une alle altre; esprimere un no su singole parti trascurando la portata complessiva della riforma (che ricordiamoci non è per sempre) è ragionamento poco pragmatico e razionale; Il voto nel referendum riguarda l’intera legge ed è frutto di un giudizio sintetico e unitario su tutte le disposizioni della legge.
Sulle ragioni politiche da dirigente del partito democratico: c’è un segretario di partito che è anche premier e che, insieme al pd, sta governando il Paese in uno dei periodi storici più complicati della storia repubblicana; non ho votato Matteo Renzi alle primarie per la segreteria del pd ma ho votato il pd ed i nostri parlamentari alle ultime elezioni politiche; questo Governo ed i nostri parlamentari hanno votato e approvato questa riforma e su questa riforma hanno manifestato la necessità che venga approvata per garantire una maggior efficacia ed efficienza dei processi legislativi e governativi che possano aiutare il nostro Paese ad uscire da questa situazione di grande difficoltà.
Oltre alle cose che ho già detto in premessa, ho bisogno di fidarmi di loro e di garantire lealtà e sostegno a questo processo di cambiamento, pur con tutte le riserve. E senza dubbio sosterrò le ragioni del SI. Senza sacrifici per la specialità e per l’autonomia sarda.”