Il pensiero di Antonio vola nelle facoltà del mondo

(L’Unione Sarda)

Inghilterra, Francia, Stati Uniti, Canada, Giappone, Cina, Messico, Brasile, Argentina, India. I centri universitari dove è vivo il dibattito sul pensiero di Antonio Gramsci sono molto numerosi nel mondo. Così gli ambiti dove vengono declinate le sue categorie interpretative: relazioni internazionali, critica letteraria, teologia, subaltern studies, pedagogia. Nel discorso al Forum di San Paolo, dove si è discusso il “Socialismo del XXI secolo”, il vice presidente boliviano Linera ha citato ripetutamente Gramsci. Il suo sistema viene calato nella storia, struttura il tentativo di comprendere il flusso del reale”. A Marìlia, stato di San Paolo, Brasile, il professor Gianni Fresu, 42 anni, ha già cominciato le lezione del corso dedicato a “Fascismo e antifascismo”. Tornato nell’isola per le vacanze natalizie è stato intercettato dal gruppo del GramsciLab, il laboratorio di studi gramsciani coordinato dalla profossoressa Patrizia Manduchi dove collaborano diversi dipartimenti delle università di Cagliari e Sassari. Gramsci si studia ovunque, meno che nella sua terra natia. Nel primo ciclo (che spera di poter istituzionalizzare) il GramsciLab porterà nel capoluogo alcuni fra i più eminenti studiosi internazionali, testimoni accademici di luoghi, il mondo arabo in particolare, dove i Quaderni sono letti come mappa per ordinare un labirinto di caos e ingiustizie. Dopo Fresu, che ha parlato di “Gramsci Cittadino del mondo”, è stato il turno di Guido Liguori, presidente per l’Italia dell’International Gramsci Society, con la lectio “I Quaderni come strumento di lavoro”. «Liguori è uno dei pochi in Italia. Da noi Gramsci viene de-ideologizzato. Gli intellettuali che sono arrivati a posizioni di prestigio grazie al partito comunista rinnegano il passato. Hanno paura della propria ombra», spiega Fresu. Il pensiero gramsciano sa ripercorrere il disperso sistema sanguigno della politica, fino al cuore pulsante della contemporaneità: «Tutte le guerre degli ultimi vent’anni sono state ispirate dall’imperialismo, impegnato nell’accaparramento delle risorse energetiche. Nel frattempo i paesi emergenti, i BRICS per esempio, stanno lentamente convergendo in un mercato che tagli fuori gli Stati Uniti, capaci di finanziare il proprio debito solo grazie all’onnipresenza del dollaro. Sarebbe la fine, forse l’innesco di un conflitto globale. L’Italia? Gramsci avrebbe molto da dire, specialmente riguardo la crisi del rapporto di rappresentanza, l’eterno riapparire del trasformismo». Egemonia, e subalternità. Come un sasso nell’acqua, a smuovere l’immobilità indistinta in cerchi concentrici, da quelli vasti del sistema globale a quelli minimi di una regione. Con il volume “La prima bardana” (University Press) Fresu ha spiegato il banditismo sardo come risposta all’elitario processo risorgimentale, presentatosi nell’isola con il regio editto delle chiudende che abolì l’uso civico della terra aprendo una faglia attraverso cui il colonialismo piemontese, e poi romano, avrebbero insinuato la modernità capitalista. La rivoluzione passiva e conservatrice che confina le grandi masse in un angolo, impedendo un reale sviluppo democratico. La laurea In Scienze Politiche a Cagliari, il dottorato a Urbino e il ritorno nell’isola, prima nella vecchia facoltà, poi nel Dipartimento di Studi Storici, appeso anno dopo anno agli effimeri contratti da ricercatore. La chiamata dell’Universidade Estadual Paulista per ruolo di professor convidado trova Gianni Fresu alla reception dell’ostello della gioventù di Cagliari, a fare le notti. «Nelle università nostrane si va avanti solo grazie a concorsi di cui si conosce già l’esito. Bisogna piegarsi, curare le relazioni. Il mio lavoro è stato ignorato, perfino avversato. Avevo gettato la spugna. In Brasile, invece, conoscevano e apprezzavano i miei lavori». Oggi Gianni Fresu insegna Gramsci ai giovani del Movimento Sem Terra, che da 30 anni si batte per i diritti contadini. Un intellettuale organico, di certo. Dall’altra parte del mondo.

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