Presidente Pigliaru, Onorevoli colleghe e colleghi, assessore e assessori, oggi si celebra in tutta la Sardegna “Sa Die de Sa Sardigna”, giornata della festa nazionale dei Sardi, che proprio questo Consiglio Regionale ha istituito nel 1993.
Giornata che, come noto, ricorda quella lontana data del 28 aprile 1794, passata alla storia per l’insurrezione dei Sardi e la cacciata dei dominatori Piemontesi.
Si tratta di un episodio storico che trae origini complesse da uno stato di malessere profondo del popolo sardo cui concorsero molteplici cause.
Il peso progressivo dell’imposizione fiscale, l’aumento dei costi delle materie prime e al consumo, uno stato diffuso di corruzione, unitamente al malcontento per le mancate risposte alle richieste di compartecipazione alle scelte e al governo dell’isola, rappresentate dalle famose cinque domande degli Stamenti, costituirono la base di quel clamoroso moto antidispotista ed antipiemontese.
Quella data del 28 Aprile 1794 e l’episodio storico ricordato, che ha rappresentato un vero e proprio atto rivoluzionario, sono oggi simbolo dell’orgoglio sardo e il riferimento per un percorso non ancora compiuto che trova le ragioni più profonde nella ricerca di autonomia, nella sua difesa e nel suo ampliamento verso il pieno riconoscimento della sovranità e della piena autodeterminazione del popolo Sardo.
Non sfuggirà a nessuno che molte di quelle condizioni che furono all’origine di quel moto popolare sono ancora oggi drammaticamente presenti nella società sarda, seppur in chiave moderna.
La gravissima crisi sociale ed economica, l’aumento dell’ imposizione fiscale, l’aumento delle povertà, la progressiva minore autonomia degli Enti locali e la perdita di capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini, il tentativo di limitare ulteriormente l’autonomia del governo regionale, la sfiducia nella politica e nelle classi dirigenti, il persistere dei gravi motivi di diseguaglianza e penalizzazione rispetto al resto della nazione, costituiscono elementi di grave preoccupazione cui siamo chiamati a dare risposte con il massimo della decisione, chiarezza e rapidità.
Nel ‘97 seguiva un altro importante atto, l’approvazione da parte di questo consiglio della legge n. 26 sulla promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna, legge di grandissimo valore dal punto di vista identitario.
Entrambe sono state pensate come fondamenta di un percorso che deve ancora trovare piena attuazione ed efficacia.
Perché la specialità non è solo una condizione da difendere quanto un risultato da conseguire, l’esito di un processo fondamentalmente endogeno, aperto a contenere le esigenze di una società complessa e dinamica, un progetto/processo che deve essere capace di innescare un percorso di conoscenza e valorizzazione dell’identità e delle risorse regionali e locali.
Se vogliamo veramente che questo percorso si compia dobbiamo avere il coraggio di rilanciare la questione linguistica e identitaria e bene ha fatto la giunta a chiedere la gestione autonoma delle risorse statali sulle minoranze linguistiche.
Ora non ci resta che auspicare che il governo proceda in tempi celeri all’adozione dello schema di trasferimento di funzioni, già approvato dalla Commissione paritetica, e sollecitare per un concreto impegno in termini economici.
Ecco, credo che questi temi, unitamente alle rivendicazioni di correzione delle disequità e degli storici ritardi, debbano essere riproposti con forza anche e sopratutto in momenti come questo.
Oggi ci troviamo di fronte ad una riforma dell’assetto istituzionale della Repubblica che, giustificata da motivazioni prevalentemente di natura economico finanziaria, legate al contenimento della crisi, modifica l’assetto dello Stato in senso fortemente centralista.
Una riforma che cancella ogni speranza di un percorso federalista, perseguito, seppur contraddittoriamente, per qualche decennio e che sembrava irreversibile.
Riforma che, di fatto, sottrae e condiziona pesantemente le funzioni e l’autonomia regionale, e che solo apparentemente salva le autonomie speciali, con una scelta che appare più motivata dalla necessità di rinviare le lungaggini dei percorsi costituzionali previsti per la modifica degli statuti, piuttosto che da una reale convinzione della necessità del persistere delle specialità.
Da una parte si rinvia l’adeguamento degli statuti prevedendo lo strumento dell’intesa tra Stato e Regione, dall’altra un indebolimento così forte del regionalismo e delle regioni a statuto ordinario, non rafforza ma indebolisce, di fatto, anche quelle a statuto speciale.
Per questo sbaglia chi, tra le altre Regioni ordinarie, pensa che dall’abolizione delle specialità ci siano vantaggi per le regioni a statuto ordinario.
E per questo il prossimo mese qui a Cagliari si riunirà la conferenza dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, che nella consapevolezza del persistere delle ragioni che hanno portato al riconoscimento delle Specialità, definirà un documento comune e aprirà un confronto a tutto campo con le altre regioni nella convinzione che la specialità sia un elemento da valorizzare per rivendicare il mantenimento di un sistema regionale realmente differenziato e non un privilegio da difendere.
È evidente, e lo abbiamo già detto con grande chiarezza, che non siamo disposti a fare un solo passo indietro sulle ragioni della nostra specialità, ma credo che, proprio perché in tutto il popolo sardo è cresciuta ed è oggi comune la consapevolezza dei propri diritti, noi dobbiamo accettare la sfida che lo Stato propone, rilanciando la vertenza Sardegna, nel senso di una maggiore autonomia ed autodeterminazione. Aprendo una fase nuova, seppur difficile, di ricontrattazione con lo Stato, che dia risposte al mancato riconoscimento di diritti paritari rispetto al resto della nazione. Mancato riconoscimento di diritti fondamentali che si configura nel deficit di infrastrutture, di trasporti interni ed esterni, nell’assenza di energia a basso costo che impedisce sviluppo e competitività ma anche necessità di sostegno delle politiche identitarie come quelle citate a sostegno della Iingua e della cultura.
E proprio nell’accettare la sfida che lo Stato propone che oggi, a più di 20 anni dalla sua istituzione, il parlamento sardo ha il dovere di riempire di significato “Sa Die de Sa Sardigna” perché non sia vuota celebrazione di un episodio storico ma diventi occasione per ribadire la nostra unità di popolo.
E ha deciso di farlo affrontando un tema delicato come quello del deposito unico nazionale per le scorie nucleari.
Tema che ha in sé tutte la caratteristiche per rappresentare il senso attuale di Sa Die de Sa Sardigna, giornata dell’orgoglio sardo ma anche giornata di lotta di un popolo che si riconosce non solo nella propria cultura, nella propria lingua ma anche nella propria Terra.
Oggi questo Consiglio vuole ribadire il proprio diritto all’autodeterminazione, alla piena sovranità, alla libera scelta del modello di sviluppo.
Mettendo in discussione scelte del passato che concentrano il 68% delle servitù militari nella nostra regione e confermando il diritto di decidere liberamente dell’utilizzo del proprio territorio.
Oggi discutiamo un tema su cui la Sardegna si è espressa da tempo e in maniera unitaria, dandogli sino in fondo il senso e l’importanza che diamo al diritto all’autodeterminazione.
Lo discutiamo per ribadire in forma unitaria ed univoca il NO all’utilizzo del nostro territorio per lo stoccaggio delle scorie nucleari.
Spetta al parlamento sardo rappresentare con convinzione queste istanze e condurre questa difficile vertenza decisiva per il futuro della Sardegna.
Presidente Pigliaru, stia sicuro che su questi temi troverà la compattezza e l’unità di tutto il Consiglio.
Gianfranco Ganau
Presidente del Consiglio regionale della Sardegna