Da tempo molti di noi sono impegnati a porre l’attenzione sul pieno diritto di cittadinanza esteso a tutte le persone, nessuno escluso.
Abbiamo ereditato una Costituzione che lo afferma in modo chiaro all’art. 3, non limitandosi alla enunciazione di un mero principio formale, ma assumendo il compito di rimuovere ogni ostacolo che privi la persona umana della sua dignità, e di una piena partecipazione alla vita sociale, politica ed economica di questo paese. Un diritto di uguaglianza sostanziale che impone una reale riflessione sulla sua applicazione.
Assistiamo con sconcerto che ancora oggi, tale principio viene negato da chi per primo doveva adoperarsi per garantirlo, la Repubblica italiana, attraverso il varo di una legislazione positiva che mettesse fine alle gravi discriminazioni e umiliazioni che una parte della popolazione è stata costretta a subire nel corso degli anni a causa del proprio orientamento affettivo. Ancor più grave se si pensa che questa discriminazione ricade ancora su tanti bambini e bambine.
Porvi rimedio non è difficile, basta fare delle semplici considerazioni e capire che è tempo di sanare una ferita inflitta a tante persone che non sono lontane, ma sono con noi. Sono i nostri figli e le nostre figlie, i nostri amici e le nostre amiche, i nostri compagni e le nostre compagne di lavoro. Sono persone che non chiedono maggiori diritti di quelli da noi goduti, ma semplicemente uguali. Sono persone che con grande coraggio e determinazione, esigono il rispetto della loro condizione e di poter cogliere l’opportunità di essere felici e di contribuire a far felici altre persone con le quali condividere progetti di vita.
Persone che hanno fatto scelte di autonomia, di libertà, d’identità senza timore e di civiltà. Persone che mai più devono subire la vessazione di leggi che non le rispettano, relegando le loro vite a una condizione non degna di tutela, al pari di tutti gli altri, e privi di una adeguata protezione giuridica quando le discriminazioni si manifestano anche nella loro veste più feroce, arrivando a minare spesso la loro incolumità fisica e mentale.
Perché impedire che possano, se lo desiderano, formare una famiglia?
Perché non riconoscere che hanno diritto di manifestare il loro progetto di vita mediante legami civilmente riconosciuti e tutelati?
Perché riconoscere ad altri il diritto d’intervenire vietando, situazioni così strettamente personali?
Perché non cogliere l’opportunità di una crescita civile in cui riconoscersi come persone che non si sentono pienamente libere se la libertà non è un patrimonio comune e condiviso?
Le libertà non si affievoliscono se condivise, si rafforzano e migliorano la qualità della vita di tutte e tutti, a partire dai figlie e le figlie, cui abbiamo la possibilità di offrire una società più giusta e solidale.
E quando si parla di figlie e figli non si prendono in considerazione solo i nostri/e, ormai adulti/e e consapevoli, ma anche i figli e le figlie degli altri, i genitori degli altri, gli amici e i parenti degli altri, che incontrano difficoltà a comprendere che se si parte dal rispetto della persona, tutte le condizioni umane possono regalare una crescita collettiva di cui essere grati, per la bellezza delle differenze che possono esprimere.
Una bellezza che si è già manifestata anche nella cura dei propri figli, assumendo pieno ruolo genitoriale anche da parte di chi non lo è sotto il profilo biologico. Una bellezza che ancora stenta a trovare adeguata forma giuridica, se non presso sentenze dei tribunali che agiscono in primo luogo nell’interesse del minore coinvolto.
Il Parlamento guardi a queste famiglie di fatto, siano esse eterogenitoriali o omogenitoriali, non abbia timore di sancire una realtà che già esiste, non si volti dall’altra parte. Ponga le basi giuridiche per creare un minimo di garanzie nell’interesse del minore, assicurando un trattamento giuridico pari alle coppie coniugate, che consenta l’adozione.
Un riconoscimento giuridico che assicura al minore il diritto alla cura, al mantenimento, ai diritti ereditari anche in caso di separazione, d’impedimento o di morte del genitore biologico, per dare continuità alla responsabilità genitoriale. Sarà il tribunale a valutare caso per caso l’idoneità, nell’interesse del minore. Non un divieto ideologico preconcetto.
Per questo motivo la stepchild adoction, pur con i suoi limiti, rappresenta una opportunità per il riconoscimento di situazioni già presenti nella nostra società. Abbiamo tutti la responsabilità di aver consentito venissero discriminati i nostri figli e le nostre figlie, il Parlamento ha l’opportunità d’interrompere questa grave ingiustizia per loro e per i loro figli. Un’opportunità da cogliere e non più rinviabile.
Da parte nostra l’impegno a contribuire ad aiutare e sostenere, anche quei genitori che si sentono smarriti quando vengono a conoscenza di un figlio o figlia omosessuale. Ne conosciamo le ansie, ne parliamo tra noi e di sicuro queste vengono meno se si creano le condizioni perché le nostre figlie e i nostri figli, non siano più discriminati.
Siamo al loro fianco oggi, lo saremo anche domani per quanto ci sia consentito. Vogliamo siano sereni e confortati nel loro percorso di vita e non solo da noi. Per questo abbiamo bisogno dell’aiuto di tutte e tutti, un impegno che ci consentirà di poter dire che anche noi abbiamo contribuito ad fare un passo avanti di civiltà
Delia Fenu