Politica: I ricordi dell’ex giovane Dc: «Il mio caro amico Sergio» (L’unione sarda)

Francesco Sanna

i siete già sentiti? «Gli ho inviato un sms dopo l’elezione. E uno anche il giorno prima. Scrivevo: Ciao Sergio. Con l’allegra fatica tipica dell’appuntamento, mi sembra che si vada avanti bene! A domani. E lui? «Una breve risposta e un ringraziamento, sempre per messaggino». Ma non è, come raccontano, un signore scaramantico? «Scaramantico? È una persona razionale. E un credente che sa che ci sono cose che ti accadono anche se non le hai cercate e che, quando ti succedono – questo è un concetto che ho imparato da lui – puoi contare sulla grazia di stato , quella particolare capacità, la forza che Dio ti dà quando devi assumere un certo ruolo in famiglia, nel lavoro o nelle istituzioni». Una grazia del cielo? «Proprio così. Un dono che rafforza le tue capacità». L’onorevole Francesco Sanna conosce bene il presidente della Repubblica Mattarella. «Il nostro è un rapporto d’amicizia, certo, anche per una sorta di ramificazione familiare: il fratello di mia moglie era un giornalista del Popolo, il giornale del partito che è stato sotto la direzione di Sergio». Per tutta l’intervista rintuzzerà l’ironia delle domande sul ritorno, anzi la resurrezione della Diccì («Non torna certo il partito, torna però lo spirito del cattolicesimo democratico») e le osservazioni maliziose sulla nuova aria che tira dentro il Pd, un profumo d’incenso come quello di chiesa. Classe 1965, nato a Iglesias, appena diciottenne era già segretario provinciale dei giovani della Democrazia Cristiana, poi segretario regionale, quindi (nel ’92) segretario nazionale (stesso incarico dopo lo scioglimento del partito nel passaggio al Ppi). È uno cresciuto in Piazza del Gesù. Uno che ha visto morire la Dc, nel ’94 ha assistito al parto dei Popolari (e poi dell’Ulivo, della Margherita, del Pd) e (anno 1995) ha combattuto («e ho pagato con l’espulsione») contro il golpista Rocco Buttiglione che voleva portare il partito tra le amorevoli braccia di Berlusconi. Si racconta di Mattarella che, assieme a Rosi Bindi, in Piazza del Gesù gridava contro Buttiglione urlando «Fascista, fascista, fascista». «Erano giorni in cui, mentre la maggioranza del partito discuteva nella massima trasparenza della prospettiva di una coalizione (nascerà poi l’Ulivo, ndr) che mettesse insieme cattolici democratici e sinistra, Buttiglione faceva di nascosto gli accordi per andare a destra. Si comportava come un padrone quando il partito non lo voleva più. Ecco perché Mattarella lo chiamò fascista: perché da una posizione di minoranza, a colpi di espulsioni, usava la prepotenza per imporsi. Gente come Mattarella, Andreatta, Bindi, Iervolino si ritrovò, assieme ai giovani, a combattere questa deriva». Oggi Buttiglione non sarà intimamente contento… «Credo proprio di no. In ogni caso, non gli parlo da 22 anni». Quando ha conosciuto Mattarella? «Fine anni Ottanta. La nostra conoscenza si approfondì nella prima metà dei Novanta quando lui era già un punto di riferimento prima nella Dc e poi nel Partito Popolare della sinistra democristiana che mise un accento forte sui temi del rinnovamento istituzionale e della questione morale». In Sardegna ha legami? «Ha un ottimo rapporto, un legame stretto anche per vicinanza anagrafica, con Antonello Soro». Venne a Cagliari nel ’90. In un momento peraltro molto particolare della sua storia politica. «Sì, in città a settembre si teneva la Festa nazionale dell’Amicizia e noi gli avevamo mandato un invito. Non era più il ministro della Difesa ormai da due mesi. Si era dimesso (Governo Andreotti) in segno di protesta contro il decreto legge, sul quale fu messa anche la fiducia, della Mammì (normativa sulle tv private che lanciò l’impero Fininvest, ndr ). Dopo il convegno, lo invitammo a cena al ristorante “San Crispino”. Noi eravamo tutti fuorisede squattrinati, avevamo fatto una colletta per poter pagare la cena. Così facemmo strada con le nostre auto di terza mano alla scorta dei carabinieri che accompagnava Mattarella. Fu una serata molto piacevole. Lui ama parlare coi ragazzi, gli piace il contatto col mondo giovanile». Lei ha detto che il Paese scoprirà un grande presidente. «Un uomo semplice, di grande cultura, un cattolico democratico estremamente laico». Uno molto devoto. Lo era anche il presidente Scalfaro. «Mattarella è molto diverso da Scalfaro. È uno per cui la fede conta come causa dell’impegno politico e sa che la politica è un’altra cosa. Io non ho mai visto Mattarella esplicitare la sua devozione religiosa, come invece faceva Scalfaro che era più un cattolico di destra. È più facile vederlo con gli scout attorno a un fuoco, a chiacchierare coi ragazzi e ad ascoltare la chitarra». Un consenso, quello dell’elezione a Capo dello Stato, che è una vittoria di Renzi su tutta la linea. «Ci doveva essere un partito democratico unito e la bravura del premier si è manifestata nella scelta di un metodo che ha funzionato, attorno a un nome che, per esempio, fu la prima scelta di Bersani nel 2013. Mattarella ha ottenuto un consenso, sfiorando i due terzi del quorum richiesto per le prime tre votazioni, che gli dà una legittimazione fortissima anche nel suo ruolo di garanzia per le riforme. Proprio per questo, in tema di legge elettorale e riforma costituzionale, immagino che domani, nel suo discorso, possa invitare, senza riferimenti precisi, le forze politiche come Sel, Forza Italia e 5 Stelle, a un maggiore impegno per un allargamento della maggioranza». Un mediatore. «Ma non un grigio sacerdote della mediazione, sia chiaro. Mattarella è uno che ascolta tutti, si confronta, poi però dice sì o no». È andato qualche volta a trovarlo nella foresteria della Corte Costituzionale? «Sì, e mi ha colpito la dimensione quasi monacale in cui viveva. Tre anni fa, dopo la morte della moglie, ha lasciato la casa, che pure è a Roma, per trasferirsi in questo appartamentino di poche decine di metri. Un uomo che ha sempre dato il massimo, e che sempre ha curato la dimensione familiare. Non dimenticherò mai la lezione che ci fece». Quale lezione? «Anno ’91, convegno dei giovani Dc a Foligno. Andò al microfono e disse: “Ho chiesto di parlare per primo perché oggi è il compleanno di mia figlia e non vorrei mancare. Ragazzi, ricordatevi sempre che è la vita che contiene la politica”. Ci esortava a curare gli affetti». La Democrazia cristiana è risorta? «(Ride). Non torna la Dc. Torna certamente un pezzo di cultura politica fondata sull’esercizio della democrazia dentro i partiti e nelle istituzioni. Una politica di tratto progressista e che ripudia il confronto muscolare».

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