(L’Unione Sarda)
Quelle assenze. Una volta ancora. Posti lasciati vuoti dagli uomini in teoria più vicini al segretario. La direzione regionale del Pd sta diventando un tormento per Renato Soru: venerdì scorso, come già accaduto, è stata snobbata – così come il supervertice con parlamentari e consiglieri – soprattutto dalla maggioranza interna, le aree vicine ad Antonello Cabras e Paolo Fadda.
Stavolta però il segretario reagisce. «Assenze mortificanti», dice 48 ore dopo, «impedire il dibattito è un errore». Per uscire dal vicolo cieco insiste sul suo messaggio di unità: metterà intorno a un tavolo i campioni di tutte le correnti, per guardarsi negli occhi e chiarirsi. Ma l’afflato unitario rischia di certificare quello che più d’uno pensa: che una maggioranza pro-Soru non c’è più. Lui però non sembra preoccupato: «Abbiamo una parte che diserta la direzione, ma la riunione si è tenuta lo stesso, c’era il numero legale. E si sono prese decisioni importanti».
Ma le assenze sono il sintomo di qualcosa che non va.
«Può essere. Ormai si è così poco abituati a confrontarsi nel merito, che una semplice diversità di opinioni scatena inutili agitazioni».
Come lo scontro con l’assessore Deiana su Ryanair?
«Non c’è uno scontro Soru-Deiana. L’ho incontrato la settimana scorsa, con Pigliaru, per riferire dei miei approfondimenti in sede Ue. In puro spirito di collaborazione. Io penso che le norme europee siano a favore del diritto alla mobilità, a favore della Sardegna. L’assessore, per prudenza, attende il verdetto Ue sugli aiuti dati da Cappellacci. Che erano sbagliati: ma se si poteva temporeggiare qualche mese, ora non c’è più tempo da perdere. Tutto qui, non è una lite tra me e Deiana».
Però avete visioni diverse.
«Non lo trovo scandaloso, ma è necessario capire qual è la visione del Pd: proprio la diversità di idee mi porta a ritenere giusto riunire gli organi di partito e fare sintesi».
E ritorniamo alle assenze.
«Non so se c’entra la discussione sui trasporti, ma venerdì non siamo riusciti ad avere piena partecipazione nell’incontro con i rappresentanti istituzionali. Lo trovo mortificante, a maggior ragione se abbiamo idee diverse è necessario incontrarsi. Riunirsi in tre o quattro e risolvere tutto? È il modo sbagliato».
E qual è quello giusto?
«Riunire la direzione regionale, un organismo di 80 persone, per elaborare un pensiero fecondo per la Sardegna. Trovo sbagliato cercare di fermare il dibattito, impedendolo, anziché portare le proprie posizioni. Ma il Pd fortunatamente è un partito vasto e vivace. La riunione di venerdì dimostra che nessuno può impedire che si discuta e si decida».
Crede ancora in una gestione unitaria del Pd?
«Lavoro dal primo giorno per unire il Pd da segretario. Abbiamo scelto come presidente un’esponente dell’area che non mi aveva sostenuto, Giannarita Mele, e ho proposto a tutte le componenti di entrare nella segreteria».
Lei però fu eletto col 52%: non un segretario “unitario”. È stato decisivo il sostegno di alcune correnti.
«Proprio per questo serviva uno sforzo per stare tutti insieme. Dovevo tenere fuori dalla conduzione del partito il restante 48%? Un congresso non serve per avere una parte che conquista il partito a danno di un’altra. Serve a eleggere un segretario che rappresenti tutti».
Le hanno rimproverato scarsa collegialità.
«Tutto, ma non questo. Di solito chi lamenta scarsa collegialità chiede di riunire organismi mai convocati: semmai qualcuno dice che li riunisco troppo».
La collegialità non passa solo dalle riunioni. Si parla di rimpasto in Giunta: farete tutto lei e Pigliaru, chiusi in una stanza?
«So distinguere le diverse responsabilità. Il presidente ascolta tutti ma poi decide da solo. In quella stanza ci sarà solo lui, non due persone, né cinque, né dieci».
Si dice sempre, ma poi…
«Non mi occupo di spartizioni. Avevo detto che non mi sarei occupato dei commissari Asl e l’ho fatto. Ho la volontà e il piacere di contribuire a trovare idee per la Sardegna. Non mi interessano le trame nell’ombra».
Resta comunque dell’idea che un rimpasto serva?
«Certamente tutti possiamo fare di più e meglio, ma le valutazioni sulla Giunta le lascio al presidente».
È vero che lei e Antonello Cabras avete rapporti gelidi?
«Nessun gelo. Semplicemente, non abbiamo più occasioni per incontrarci».
Ci sono i cellulari. O dipende dai ruoli istituzionali?
«Io non mi occupo della Fondazione Banco di Sardegna, credo che la politica debba starne fuori. E credo che la Fondazione debba star fuori dalla politica. Riconosco grandissime doti a Cabras, è stato un politico con straordinarie capacità. Finito il suo percorso istituzionale è stato chiamato a un ruolo importante, e io non fui tra i critici. Proprio in questi giorni è cambiato il nome dell’ente in Fondazione di Sardegna: un grande patrimonio di tutti i sardi. Chi la guida è scelto con meccanismi complessi, col contributo di enti locali, università, volontariato. Deve rappresentare tutti, sopra le parti. Non può rappresentare una parte politica, o la parte di una parte».
Pare invece che lei dialoghi di più con Paolo Fadda, dopo anni tesi.
«Ho raggiunto un’età in cui mi trovo bene con tutti, perché so che c’è bisogno del contributo di tutti. Mi trovo bene con Fadda come con Cabras, nella distinzione dei ruoli».
Come conta di uscire dallo stallo in cui si trova il Pd?
«Con pazienza. Continuerò a riunire spesso gli organi. Molti mi chiedono anche di riunire alcune persone rappresentative delle istituzioni, o autorevoli per il ruolo avuto nel partito. In via straordinaria lo farò. Anche questa settimana, se c’è la disponibilità degli interessati».
Intende un gruppo informale, diverso dagli organi statutari?
«Chiamiamolo un gruppo di saggi. Rappresentativo di tutte le parti del congresso».
Un altro caminetto?
«Non direi proprio. Saranno 17 o 18 persone, come camino è bello grande. Sarà una discussione ricca e vedremo come andare avanti. Ma ripeto: le decisioni saranno sempre prese dalla direzione regionale».
Teme di poter essere sfiduciato dalla direzione?
«Può sempre succedere. Chi ha paura della sfiducia non riunisce gli organismi, io invece lo faccio spesso. Non perché penso non possa accadere, ma perché ho questa visione di un partito che si incontra e discute. Se non è quella giusta cambiamola, ma non posso essere io a farlo».
Giuseppe Meloni