Il Partito Democratico della Sardegna ha bisogno di molto più che di un nuovo Segretario Regionale.
Pensare che quello in corso sia un passaggio ordinario di consegne, magari con una tregua tra correnti sancita dalla mera ricerca di equilibri all’interno e all’esterno del Partito, significa, a mio giudizio, perdere l’occasione di lavorare per il rilancio della sua proposta politica e di quella di governo della Sardegna. Si tratta di proporre un nuovo incontro tra il PD e il suo popolo.
Certo, ci si muove avendo una cornice europea e nazionale problematica, in transizione e densa di preoccupazioni anche per l’affermarsi di forze populiste, di diversa ispirazione, che hanno avuto e continuano ad avere nella crisi economica, nell’immigrazione e nel terrorismo di matrice islamica le ragioni del loro consenso elettorale. Eppure quelle della Sardegna sono caratteristiche peculiari che hanno bisogno di un approfondimento proprio.
Nel 2014 il PD ha in Sardegna completato il quadro che lo ha visto governare pressoché tutto quello che si poteva governare ad iniziare dalle principali città, alla maggior parte dei comuni ,a quasi tutti gli altri enti locali fino alla Regione con la vittoria di Francesco Pigliaru. Negli ultimi decenni non era mai accaduto che un partito, ancorché in alleanza con altre forze politiche, arrivasse ad avere un carico di responsabilità di così ampie proporzioni.
Il punto politicamente più rilevante è proprio quello di ragionare del perché il PD da una posizione di così enorme rilevanza perda capacità attrattiva sull’elettorato e su quello che è il suo naturale popolo. Noi sappiamo che la perdita è quotidiana non solo nei giorni di richiamo alle urne. Si possono sbagliare alleanze locali, si può continuare a puntare su amministratori che non sono riusciti a rispettare le promesse fatte nella legislatura appena conclusa o a puntare su persone che non risultino credibili davanti agli elettori. In tutti questi casi, per una ragione o per l’altra, si possono comprendere le ragioni di una sconfitta, a volte si può facilmente sapere a chi addebitarne le maggiori responsabilità e da subito si può ripartire per tentare di riconquistare rapidamente la fiducia degli elettori.
Ma quando un modello di governo, anche locale,viene percepito diffusamente dai cittadini come un blocco di potere ,come un sistema organizzato di conservazione di quel potere , vero o falso che questo sia, si rompe in maniera profonda la fiducia non solo con chi si candida ad amministrare ma peggio, si perde, chissà per quanto tempo, la credibilità con le forze politiche che agli occhi dei cittadini sono l’incarnazione di quel modello.
Da questo punto di vista, le recenti elezioni amministrative con l’affermazione elettorale del Movimento 5 Stelle, con una seppur timida rivitalizzazione dello schieramento di centrodestra ma soprattutto con una crescente simpatia in diversi territori da parte dell’elettorato per formule che prendono le distanze dai partiti ,ci consentono di ipotizzare le principali tre ragioni della sconfitta del PD che provo a sintetizzare.
1) L’incapacità di interpretare completamente le nuove forme di disagio sociale e le nuove richieste provenienti dalla fascia più giovane dei cittadini. In particolare, non riuscire più a essere punto di riferimento per quei lavoratori , da quelli subordinati fino alle partite IVA , che non trovano rappresentate nel centrosinistra in generale e nel PD in particolare le nuove domande poste da un mondo del lavoro profondamente mutato rispetto ad appena qualche decennio fa .
2) Non essere sufficientemente credibili nel comprendere la richiesta anche in Sardegna di una forte moralizzazione della politica che anticipi le strumentali campagne dei nuovi e vecchi soggetti politici che giustificano le ragioni della loro esistenza nel considerare la politica come intrinseca fonte di corruzione. Ormai per molti cittadini la novità, qualunque essa sia e spesso solo presunta, è garanzia di non “collusione”con la politica tradizionale.
3) La terza ragione è conseguenza delle prime due. Ignorare la forte richiesta di discontinuità con il passato e la necessità di un rinnovato progetto politico e di partecipazione collegiale che deve identificarsi anche con nuove personalità che possano incarnarlo.
In sintesi , quindi, i punti sui quali riflettere. Davanti alla forte richiesta di cambiamento proveniente dai cittadini ed in particolare dalla sua gente , oggi il PD non riesce ad essere identificato come la forza politica del cambiamento. Mi sembra un fatto doloroso ma oggettivo.
Ecco perché ,in una fase così delicata, l’unità interna del PD è certamente un fatto necessario , direi obbligatorio, a condizione però di essere tutti consapevoli che dobbiamo affrontare una fase straordinaria che ha bisogno presto e prima di tutto di segnali di comprensione ed attenzione per ciò che si agita nella nostra società e non solo di un uomo o una donna che , in conformità ad una norma statutaria, sia il rappresentante legale del Partito Democratico.
Ignazio Angioni