Alganesh Fessaha alla festa dell’Unità: “Manca ancora uno spirito umanitario in Europa”- Video

“In Eritrea c’è una dittatura terribile. Manca la libertà di opinione e le persone vivono in condizioni di semi schiavitù, private della possibilità di decidere il loro stesso destino: i ragazzi sono costretti alla leva militare dai 16 ai 50 anni, oppure finiscono a lavorare nelle miniere d’oro del paese, pagati 10 euro al mese. Le ragazze, anche loro cooptate dalle forze militari, subiscono violenze di ogni tipo”.

A parlare è Alganesh Fessaha, attivista di origine eritrea e fondatrice dell’Ong Ghandi, che lavora con programmi di aiuto in 15 paesi africani. Da tempo in prima linea nell’assistenza ai profughi, Alganesh è riuscita negli ultimi quattro anni a togliere dalle mani dei trafficanti in Libia e nel deserto del Sinai almeno 5mila migranti e portarli al sicuro in Stati come l’Etiopia dove hanno potuto chiedere asilo politico. Per questo è stata insignita del Premio per la Pace dalla Regione Lombardia nel 2009 e successivamente dell’Ambrogino d’oro, massima benemerenza civica della città di Milano. Nel marzo 2015 a suo nome viene piantato un albero nel Giardino dei Giusti del Monte Stella, sempre a Milano.

Sul palco della Festa de L’Unità a Cagliari, Alganesh si è confrontata sul tema Mediterraneo e Migranti insieme a Tobias Piller, corrispondente in Italia del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, a Dimitri Russo, sindaco di Castel Volturno, ed al presidente del Consiglio Regionale sardo Gianfranco Ganau. A moderare il dibattito Alessandro Aresu, analista politico da anni collaboratore della rivista di geopolitica Limes.

“Nel 2050 una persona su tre in Europa avrà più di 60 anni, -ha detto Aresu-mentre l’Africa sarà il continente più giovane al mondo e ospiterà il 25% della popolazione mondiale: una sfida demografica che impatta anche sulla Sardegna e che ci impone di guardare al futuro in una prospettiva più ampia del nostro orizzonte casalingo”. Ma lo stiamo davvero facendo? E cosa sappiamo delle persone che arrivano sulle nostre coste? Cosa sappiamo ad esempio dei profughi eritrei?
Risponde Alganesh: “Tremila giovani scappano ogni mese dall’Eritrea, alla ricerca di una vita migliore. Grazie alla complicità di qualche funzionario corrotto riescono ad arrivare sino al confine col Sudan: qui una parte viene consegnati all’ Unhcr, mentre gli altri vengono venduti ai trafficanti che li tengono prigionieri in attesa di riscatto nei campi di detenzione del Sinai. Durante la prigionia subiscono torture e violenze di ogni tipo” prosegue la Fessaha. “Spesso, mentre strappano loro le unghie o li sottopongono a scariche elettriche, telefonano ai loro familiari per far sentire le urla e costringerli a pagare. Se le famiglie non hanno i soldi, per gli aguzzini non è un problema: i prigionieri vengono indirizzati al mercato nero degli organi. Un rene costa 70 mila dollari, una cornea può valere 50 mila”.

L’organizzazione umanitaria Ghandi stima che nella tratta siano morte finora circa 8000 persone. “Spesso, cercando corpi dei morti abbiamo riscontrato che a molti mancavano gli organi”, denuncia la Fessaha, che parla di una situazione sotto gli occhi di tutti, ma rispetto alla quale i governi occidentali stentano a prendere delle decisioni. “L’Eritrea è una prigione a cielo aperto. Malgrado questo la comunità europea ha deciso di dare a quel paese 300 milioni di dollari per fermare l’esodo. Ma quei soldi, nella mani della dittatura, serviranno a comprare altre armi, a uccidere altre persone e a torturare ancora”.
“Quello che manca –conclude la Fessaha-è un approccio umanitario a questi problemi. Occorre aprire al più presto dei canali umanitari per consentire a chi fugge da situazioni terribili di trovare una via di salvezza. Invece non si fa nulla”. C’è poi il problema delle leggi, da riformare rapidamente: “In Italia di fatto c’è ancora la Bossi-Fini, e in Europa la circolazione dei migranti è ostacolata dai regolamenti di Dublino: la politica deve prendere l’iniziativa per un cambiamento reale”.

 

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